La notizia della morte di Giulio Andreotti ha suscitato un’ondata di ricordi, legati al nostro incontro, avvenuto tre anni fa. Un po’ di storia: quando nel 1941 il professor Carlo Rizzo, fondatore della Scuola Romana Rorschach, era ufficiale medico al Policlinico Militare del Celio e lavorava alla prima taratura italiana del Rorschach, ebbe modo di somministrare il Test al ventiduenne Giulio Andreotti. Il Protocollo, non elaborato, fu custodito gelosamente nel grande archivio dell’Istituto. Per volere di Carlo Rizzo nessuno, compreso chi scrive, ne prese mai visione fino al 2010, quando decidemmo con la dottoressa Pes di contattare la segreteria del Presidente per sapere se era interessato a conoscere i risultati di quell’esperienza vissuta tanti anni prima. La risposta ebbe un risvolto insperato: nonostante i numerosi anni trascorsi, Andreotti ricordava perfettamente l’incontro avuto con il professor Rizzo, e ci autorizzò ad elaborare il suo Test animato da una certa curiosità. Fu così che l’antico fascicolo venne per la prima volta studiato, e con entusiasmo ci accingemmo a valutare il profilo Rorschach di un soggetto che sarebbe poi diventato uno degli uomini politici più rappresentativi della storia italiana degli ultimi 60 anni. Nella grafia minuta di quei fogli sbiaditi dal tempo c’era il fascino del passato, e questo lavoro diede dei risultati straordinari: ancora una volta il Rorschach si era rivelato uno straordinaria tecnica di indagine della personalità, soprattutto per quanto riguarda la sua capacità predittiva.
Nel profilo di personalità di questo giovane rintracciammo infatti indici e valori che lasciavano prevedere uno sviluppo individuale di grande livello, a partire dal numero di interpretazioni fornite, ben oltre la norma, ciò a rivelare uno spirito curioso e produttivo, una intelligenza non convenzionale ed una capacità non comune di cogliere i dettagli meno evidenti delle situazioni. Il Rorschach del giovane Andreotti delineava già con chiarezza i tratti di personalità che ne avrebbero fatto un grande leader politico: l’ambizione, la caparbietà e la tenacia nel perseguire gli obiettivi, la consapevolezza delle emozioni proprie e altrui accompagnata da quel distacco emotivo e da quel ricorso alla razionalizzazione che lo rendeva in grado di gestire la propria emotività adattandola all’obiettivo da raggiungere e che gli conferiva anche quell’imperturbabilità che ha sempre caratterizzato la sua persona.
La sua inclinazione marcatamente introversiva e il suo fondo malinconico e pessimista si accompagnavano a capacità steniche e ad una grande motivazione e ambizione, che già all’epoca lo rendevano un “leader di se stesso”.
Per la restituzione dei risultati, Andreotti ci diede un appuntamento in Senato, eravamo emozionati mentre percorrevamo i saloni e i corridoi che ci conducevano da lui. Venimmo ricevuti con grande garbo e stile, come se fossimo stati due eminenti personaggi politici: il Presidente ci aspettava in piedi, accanto alla sua scrivania; tutto in quella grande sala faceva pensare alla storia, al prestigio, al potere. Il Presidente fu molto accogliente e ci chiese di leggergli il profilo di personalità che avevamo elaborato. Andreotti ascoltava in silenzio, con il suo aspetto impenetrabile. Ma ad un certo punto disse: “Ma non avete parlato dei miei difetti!”. Noi, con un guizzo di ironia che in quel momento temevamo di non avere, rispondemmo: “Aspetti, Presidente, non abbiamo ancora finito!”. Questa frase suscitò un sorriso complice e ci liberò da una situazione di grande formalità rendendo la conversazione più confidenziale. Terminata la lettura rimanemmo ancora a lungo con lui, ed infine gli consegnammo il premio Carlo Rizzo, una targa d’argento, su cui era inciso “Per aver contribuito in modo significativo, con la sua numerosa produzione di Interpretazioni Rorschach Originali, all’arricchimento dell’archivio e della ricerca sulla psicologia della popolazione italiana”.
Un ricordo indimenticabile che oggi si vela di tenerezza per chi non c’è più.
Maria Fiorentino Salvatore Parisi
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